Una tragedia ha colpito la Sardegna. Un'angolo di terra bello, stupendo, come alla fine è stupendo tutto il nostro paese e il nostro continente, una bellezza che invece di coltivare facciamo a gara a distruggere, e sempre più spesso ci riusciamo. E sembra forse brutto, forse cinico e insensibile, in un momento come questo, pensare già al dopo, alla prossima emergenza, come se fosse davvero possibile che non ci sia una prossima emergenza. E visto che non sono un esperto di geologia o di idraulica, ma qualcosa di mass-media e comunicazione ho imparato in tanti anni, è di questo che parlo.
E' adesso che dovremmo parlare del fatto che quando c'è un'emergenza come
alluvione o terremoto la gente non guarda la tv, perché va via la
corrente o perché esce di casa, ma ascolta la radio che è comunque
l'unico mass-media fruibile con apparecchi piccoli, che costano nulla e
sono autonomi da elettricità o reti telefoniche che gli eventi naturali
mettono ko per primi (visto che grazie alle AM puoi coprire le zone
disastrate con antenne situate anche a 100 o 200 km. di distanza
dall'evento). Ma nessuno, nemmeno le radio stesse, mettono in evidenza
questo particolare; nel contratto di servizio con cui paga alla Rai
milioni di euro il governo la radio nemmeno la cita; la protezione
civile non ci pensa nemmeno da lontano a farlo presente al governo da
cui dipende (le telecamere di Sky o del Tg1 fanno più popolarità del
microfono di RadioToscana), e a ogni disastro noi cittadini povere
bestie ci troviamo aggrappati alla speranza che qualche radio locale o
privata abbia la voglia di diventare un gigante e dare un servizio
pubblico. Ma non si può vivere di speranze, non per queste cose.