Mai dimenticare.... MAI
Alle ore 22,39 del 9 ottobre 1963 si compie l'ultimo atto di una tragedia umana. Una frana gigantesca provoca un'onda che cancella, in pochi secondi, un territorio e quasi 2.000 vite umane. La morfologia delle valli del Vajont e del Piave viene sconvolta: i danni materiali incalcolabili. Di Longarone restano solo poche case; Erto viene graziato ma spariscono gran parte delle sue frazioni. Ma oltre alle vittime e alla distruzione territoriale la popolazione superstite subisce le conseguenze di indelebili danni morali, che sono quelli che hanno fatto soffrire e continuano a far soffrire persone singole e comunità.
Le dimensioni del corpo franoso erano enormi: due chilometri quadrati di superficie e circa 260 milioni di metri cubi di volume roccioso. Questa massa, da molto tempo instabile, precipitò nel sottostante bacino idroelettrico del Vajont ad una velocità stimata attorno ai 20-25 m/sec. Il fronte compatto già era lambito dalle acque del lago ed aveva una lunghezza di 2000 metri, con un'altezza media di oltre 150 metri.
Il tremendo impatto con la sponda opposta portò la frana a risalire anche per più di centosessanta metri, sbarrando la valle e modificandola in maniera definitiva. Probabilmente le scaglie e i detriti generati della massa in movimento furono trascinate in avanti riempiendo la gola del Vajont, costituendo quindi uno strato plastico che ha agevolato l'appoggio e lo scorrimento della frana stessa. Questo improvviso accrescimento del corpo franoso entro il bacino della diga permise la formazione dell'onda e determinò le caratteristiche dinamiche della stessa.
L'effetto generato dalla caduta del grosso corpo franoso produsse, sul lago artificiale, risultati impressionanti. Esso attraversò la gola a velocità molto alta, scivolò sul pendio opposto risalendolo in parte. In una decina di secondi generò uno spostamento, in proiezione orizzontale, di circa 350-380 metri e lungo la superficie di scivolamento di 450-500 metri. La pressione di questa massa, per effetto della spinta idraulica, sollevò un'onda di circa 50 milioni di metri cubi. L'acqua, carica anche di materiale solido in sospensione, raggiunse quota 930 prima di riversarsi sul lago restante ed oltre la diga, verso la valle del Piave.
Circa la metà del volume d'acqua si riversò dunque nel Longaronese, percorrendo in pochi minuti quasi due chilometri. Il suo fronte, in corrispondenza della diga, era di circa 150 metri, mentre allo sbocco sul Piave era di 70 metri. Dalla diga allo sbocco della valle del Vajont il fronte dell'onda di piena impiegò 4 minuti per percorrere 1600 metri. Nella piana del Piave l'acqua, non trovando ostacoli naturali, si appiattì e dopo aver investito Longarone e i centri limitrofi, rifluì verso sud, lungo il corso del fiume, generando un'enorme onda di piena. Dallo sbocco della valle del Vajont al ponte di Soverzene sul Piave questa percorse 7500 metri in 21 minuti, con una velocità media di propagazione di circa 6 m/sec.
A Belluno, venti chilometri più a sud, la portata era ancora valutabile attorno ai 5000 metri cubi/sec e l'altezza dell'acqua era di circa 12 metri.
La sua velocità di propagazione, nel tratto Belluno-Nervesa (quest'ultimo centro situato a circa 60 chilometri da Longarone) era dimezzato rispetto al tratto Soverzene-Belluno, con valori corrispondenti ad una normale onda di piena (2-2.5 m/sec).
Solo in corrispondenza della foce del Piave, sul mare Adriatico, le acque tornarono quiete.
L'enorme massa d'acqua, valutabile attorno ai 300 milioni di mc, che si sollevò a seguito dell'impatto della frana del monte Toc provocò, purtroppo, molte più vittime che feriti. Il loro numero superò, anche se di poco, le 1900 unità (1909 secondo fonti attendibili).
L' 80% delle vittime si registrò lungo la valle del Piave, tra il centro di Longarone, capoluogo di Comune, praticamente distrutto, e le frazioni vicine di Rivalta, Pirago, Faè e Villanova (1450 morti). Un po' più a monte, nel Comune di Castellavazzo, si registrarono 109 vittime; Codissago fu il paese più colpito.
Nella Valle del Vajont i due centri di Erto e Casso furono risparmiati dalla furia delle acque, ma non così le frazioni vicine (158 morti a Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana e San Martino).
Il cantiere della diga, ancora operativo, e che sorgeva proprio a ridosso della costruzione, fu anch'esso travolto e con esso le 54 persone addette ai lavori.
A queste vittime vanno aggiunte circa 150 persone originarie di altri comuni.
Molti volontari, già dalle prime ore della tragedia, furono impegnati in una importante opera di assistenza nei riguardi dei familiari sopravvissuti. Furono attimi certamente indispensabili per il conforto profuso e perchè, proprio da questi contatti, prese corpo il quadro umano riassuntivo della tragedia ed il suo triste elenco delle vittime.
(da www.vajont.net)
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